Mi piace pensare che questo lavoro possa scaturire da qui, da questo corso tanto particolare e così accattivante, in particolare dallo spirito con cui è stato condotto.
Ne spiego il motivo.
I principi che propongo di seguire non sono semplici: comportano grande disponibilità alla condivisione, al lavoro collaborativo, al rispetto reciproco, all’apprezzamento delle competenze altrui, di qualunque genere e livello siano, la disponibilità a non giudicare e non prevaricare i compagni di lavoro, a confrontarsi senza essere in competizione.
Tutto questo, tutto insieme non si trova facilmente negli ambienti in cui ci troviamo ad esercitare la nostra professione di insegnanti, almeno io non l’ho mai trovato se non in due colleghe, in due momenti diversi della mia carriera, con le quali si era instaurato un rapporto veramente particolare.
Credo, invece, che chi ha condiviso questo spazio di lavoro per due mesi ed è arrivato fino a qui, scrivendo post di suo pugno, con tante riflessioni personali, confrontando le sue idee e le sue competenze con così tanti compagni di corso, potrebbe essere disposto a lavorare con lo stesso spirito che ho appena descritto. In fondo se abbiamo seguito questo corso così affascinante ma anche così impegnativo, siamo stati spinti da motivazioni simili, che non dovrebbero faticare ad entrare in sintonia.
Per quanto riguarda lo scopo, essenzialmente si tratta di creare uno spazio in cui condividere materiali, pratiche didattiche, esperienze ed opinioni in merito all’insegnamento delle lingue, per una crescita comune. Tutto questo, almeno per me, scaturisce dalla necessità di dare il via ad un confronto continuo sull’insegnamento di una disciplina (la L2) in continua evoluzione, sia a livello didattico che per il continuo mutare delle esigenze dei nostri utenti.
Trovo che uno dei mali della nostra categoria sia proprio la difficoltà a confrontarsi e la scarsa disponibilità alla condivisione. Ne deriva un lavoro spesso a compartimenti stagni, frammentato e frammentario, in cui l’unitarietà del sapere non esiste e l’attività educativa non è univoca. Spesso ci sono falle immense negli interventi, per esempio, verso l’inclusione, anche perché non sempre siamo capaci di andare tutti nella stessa direzione, all’interno di un Consiglio di Classe o di uno stesso Istituto, con gli stessi metodi e lo stesso spirito.
Intendiamoci, non ne faccio una colpa a nessuno: i motivi sono tanti.
D’altra parte, a dispetto di quanto una grande fetta dell’opinione pubblica pensi (spesso si crede che chiunque possa essere capace di insegnare… dalle mie parti si dice anche “chi sa fa, chi non sa insegna”), il nostro lavoro è difficile: non basta conoscere bene i contenuti delle varie discipline, per essere buoni insegnanti è necessario saper trasmettere le proprie conoscenze nel modo giusto, quello più efficace; ci sono grandi responsabilità, bisogna essere sensibili, almeno quanto basta per tenere tra le mani delle persone che stanno crescendo, che non sono abbastanza forti da non farsi ferire da parole, comportamenti, valutazioni che se sono fuori luogo, magari non intenzionalmente , finiscono comunque per pesare come macigni; si deve essere capaci di gestire quotidianamente il rapporto con i genitori che, a torto o a ragione, oggi non si accontentano più di prendere atto di quanto la scuola stia facendo nei confronti dei figli; bisogna essere abbastanza elastici da adattarsi a condizioni di lavoro che mutano molto rapidamente, talvolta in modo radicale e che, spesso ci trovano impreparati; è necessario essere così flessibili da lavorare continuamente in scuole diverse, magari senza avere la certezza di quello che si dovrà affrontare l’anno successivo, senza mai sapere se si potranno cogliere i frutti di quanto di volta in volta si semina, magari anche solo per capire se abbiamo lavorato bene o se dobbiamo aggiustare il tiro; negli ultimi tempi, poi, siamo chiamati a personalizzare il lavoro con un numero sempre maggiore di alunni, in classi sempre più piene ed eterogenee. Non si tratta più, se mai lo è stato, di snocciolare giù la nostra lezioncina, chiudere il registro e…dormire sonni tranquilli.
Tutto questo lavoro da svolgere continuamente con professionalità, equilibrio, dedizione.
E’ veramente tanto! Talvolta forse troppo rispetto a quanto veramente ci viene riconosciuto.
In questo senso, quello che mi fa piacere di questo corso è che tra i partecipanti non ci siano solo insegnanti, ma anche genitori, che forse leggendo i nostri commenti (non lamenti) potranno arrivare a capirci meglio e vedendo il nostro impegno forse ad apprezzarci un po’ di più.
Ci sono anche formatori, gente in gamba da quello che traspare attraverso i loro blog, i loro commenti, i documenti che ci offrono, che possono rendersi meglio conto di quanto desiderio di imparare ed approfondire ci sia in tanti di noi, malgrado le poche opportunità che ci vengono offerte, le difficoltà e i limiti che un lavoro che è veramente a tempo pieno, al di là di quelle 18 ore che ai più sembrano così poche, ci impone.
Abbiamo bisogno di opportunità di confronto e di crescita, di tempo, di forme di aggiornamento che siano accessibili nei tempi e negli spazi, abbiamo bisogno di essere sostenuti e maggiormente apprezzati fuori dai luoghi comuni e dagli atteggiamenti utilitari.
Un lavoro difficile il nostro, sì, ma meraviglioso se si pensa all’importanza del contatto umano su cui è fondato, un contatto umano che va incentivato, coltivato e valorizzato, anche attraverso una macchina che, se usata con attenzione e sensibilità, non ne sminuisce certo il valore.
E’ questo lo spirito con cui mi piacerebbe poter lavorare, qui e non solo.